mi sono dimenticato di dirvi che ci vediamo di qua wherethehellaremypills
perché vuoi leggere?
una delle domande che vi voglio fare (non so bene a chi, è un “vi” immaginario) è: per quale ragione leggete?
esistono diverse risposte:
- chi rincorre il mito dell’evasione dalla quotidianità
- chi per il piacere del leggere pagine ben scritte
- chi per studio o lavoro
- chi per approfondire argomenti che sono passioni, hobby
- chi perché gli altri l’hanno letto
- chi per vivere le vite degli altri (una declinazione del primo punto più positiva e immaginifica) [+monica]
- chi per recuperare i classici [+did]
- chi per rilassarsi [+claudia]
- varie ed eventuali che al momento non mi vengono in mente
credo di essere passato per ognuno di quei punti, più volte e ho capito una cosa che sono pronto a condividere con voi (si, sempre “voi”).
a seconda di dove mi trovavo, in uno di quei punti, la spinta e la motivazione, sono state differenti. molto. tanto da farmi andare a velocità non comparabili.
oggi, analizzando tutto con voluto distacco, direi che a ognuno di quei punti corrisponde un’azione diversa. si certo, si leggono parole e girano pagine ma se cambia la radice viene su una pianta diversa.
il punto chiave per me è cosa rimane.
se resta poco o niente, cosa stiamo facendo? quando invece parole e concetti entrano a far parte del nostro modo di pensare, cosa abbiamo fatto? tutte e due le volte è leggere?
mi sbilancio nel dire che una risposta unica non esiste. dipende dall’interpretazione che diamo al gesto nell’esatto momento in cui ci troviamo. la relatività del contesto, della fase, del luogo ci cambia e cambia quelle pagine.
per me – oggi – è importante non perdere tempo. è il dogma del 2021. ogni libro deve valere. non ha senso ora togliere spazio a testi che ne meritano per intestardirsi su altri che non funzionano – per noi. ci sono così tante pubblicazioni (sto per finire i sinonimi) da leggere che si fa un torto a tutti nell’insistere.
quindi, non so voi in che momento vi troviate ma se volete leggere di più, il mio consiglio è di cercare libri che abbiano un potenziale significato e non siano solo degli strumenti per prendere sonno o per dimenticare quello che non va. un valore che volete ritrovarvi, che desideriate resti con voi, tanto da far mettere in moto tutte le attività – consapevoli e non – necessarie per immagazzinarne i concetti.
per me sta funzionando, tanto da spingermi a trovare modi e vie per salvarmi tutto quello che voglio resti con me. si, perché non mi fido delle mie capacità mnemoniche, per cui meglio aiutarsi attraverso strumenti e tecniche (anche banali) per trattenere fino ad assorbire. (se volete, si voi voi, magari se ne parlerà in un altro post).
p.s.
se vi viene in mente qualche altra risposta alla domanda inziale, e vi va di condividerla, l’aggiungerò all’elenco.
FARE SOLDI
il sottotitolo è “stop buying dumb things” 101 modi per diventare ricchi.
questo è IL proposito dei propositi.
non ha nulla a che vedere con il minimalismo quanto piuttosto sul non essere completamente scemi. se guardo nel mio armadio, sulla mia scrivania, sul comodino vedo un cimitero di cose comprate, anche a due lire, rimaste a prendere polvere e spazio.
l’esempio più lampante ve lo posso fare con le magliette. ho un quantitativo senza senso di magliette (per poi utilizzare sempre quelle là) e quel numero è senza logica dopo aver compiuto un’attenta selezione ed eliminato l’eccedenza dell’eccedenza per recuperare dello spazio vitale.
iniziamo da qua, facciamo che per il 2021 non ne comprerò di nuove. facciamo che ogni volta che vedrò un advertising passerò oltre.
anzi facciamo che investirò su di me, su questa forma di resistenza.
studio marketing ormai da un po’, conosco i meccanismi che si mettono in atto quando la profilazione mi piazza davanti agli occhi oggetti che fino a un secondo prima non mi servivano e non pensavo minimamente di acquistare.
vedo la struttura dietro a quella proposta, le leve in azione, e quindi so che serve un modello da contrapporre. so che è necessaria un sfida attiva piuttosto che passiva per combattere l’acquisto compulsivo (cioè spesso inutile).
ed ecco qua il modello resistenza20%. il nome me lo sono appena inventato per cui abbiate pazienza se non suona molto seducente.
la procedura prevede questi passi:
- appena spunta l’oggetto (che sia un ads su facebook, un video su youtube, una sponsorizzata su instagram, una pubblicità su una canale tv o lo scaffale di un negozio) RIMANDARE qualsiasi azione di 24h. solo 24. in modo da far calare la dopamina e riportare l’emotività in uno stato normale.
- razionalizzare l’utilità reale dell’oggetto.
- mettere in contrapposizione i soldi con l’oggetto. in pratica valutare se fossimo messi davanti ad una scelta cosa vorremmo. voglio quella felpa o 80,00 euro? considerato che 80,00 euro sono X ore di lavoro.
- investire su se stessi. ovvero rendere quel non acquisto un valore monetario, cioè mettere da parte un quota dell’importo risparmiato, nella misura del 20%. tutti i 20% salvati andranno a fare cumulo in un sottoconto separato, un salvadanaio, chiamatelo come volete.
il risultato ideale sarà di non aver:
- sperperato soldi
- comprato cose inutili
- riempito spazio di casa
- provato sensi di colpa post acquisto
ma soprattutto aver messo da parte un cifra che, a seconda di quanto sarà grande, potrà avere una destinazione più sensata.
infine quando vedrò quel numero saprò che ci sarà un relativo 80% rimasto nelle mie tasche.
settori a cui applicare il modello? quasi tutti dal vestiario, alle cose di mangiare fino al tech. resteranno fuori i libri. per i libri non c’è resistenza che vinca.
2021 – buoni propositi
quest’anno ho deciso di averne.
sono sempre stato contrario alle dichiarazioni di intenti, vuoi le pressioni, vuoi l’illudersi all’inizio e il deludersi alla fine. ne ho fatto a meno volentieri.
mi sono reso conto però che si può cambiare. come e quanto è tutto da vedere ma piccoli, magari significativi, movimenti sono alla portata.
da 3 anni mi alleno, con costanza e impegno, mi sento strano se non lo faccio ma prima di cominciare avrei pagato di tasca mia per non muovere un muscolo e sentirmi a posto con la coscienza.
questa è la dimostrazione immediata, la prova che metto sul banco. io sono quella persona. sono lo stesso individuo che se trova una ragione, una soddisfazione, un perché può fare.
PRIORITA‘
il segreto è nel concetto di priorità. non dipende solo dal possibile ma anche – e in alcuni casi di più – da quanto è importante, vitale, essenziale.
siamo convinti che la nostra giornata sia piena, strapiena. se guardiamo attentamente ai dati però potrebbe venire fuori una realtà leggermente diversa, ovvero una sequenza codificata (routine) di quello che ci va bene ci sia.
mi sono ripromesso di trovare del tempo da prioritizzare iniziando dal cambiare un numero, quello che ho estrapolato andando nelle impostazioni dello smartphone alla voce benessere digitale. quel numero indica una quota di minuti, spesso ore, destinate a nessuna attività se non scrollare, ripassare su post già visti, farsi venire la bile leggendo tweet di gente di cui non ci interessa nulla.
i social sono utili e ci tengono in contatto con la nostra rete di amici, internet è una fonte inesauribile di conoscenza ma c’è una dispersione di tempo incredibile e se voglio recuperarne un po’ per fare altro quello sarà il primo numero da cambiare.
il secondo viene fuori sempre dal primo. i minuti persi nel nulla oltre che essere reinvestiti direttamente in altre attività, possono essere fonte indiretta di altro recupero organizzando meglio il tempo della giornata. 24 ore sono tante ma se non gestite voleranno via nelle abitudini.
uno dei propositi per il 2021 è di leggere di più. più romanzi, saggi, articoli, biografie e anche ascoltare dei podcast. perché? perché mai come in questa fase sento il bisogno di saperne di più, di allungare lo sguardo. di arrivare altrove.
Il 2020 è stato importante perché mi ha fatto incontrare libri che mi hanno segnato e oggi sono un po’ – chissà quanto – diverso da prima. lo sono grazie a quelle parole.
- mark fisher con tutti i suoi libri ma in particolare spettri della mia vita: scritti su depressione, hauntologia e futuri perduti
- d. f. wallace con infinite jest
- flavia gasperetti con madri e no. ragioni e percorsi di non maternità
- ballard con il mondo sommerso
- h.p. lovecraft con il ciclo di cthulhu e la maschera di innsmouth
- p. k. dick con tempo fuor di sesto
- taleb con antifragile (che sto consumando in questi giorni)
ognuno di questi testi, con il suo ecosistema ha smosso qualcosa. manipolato e allargato come fosse pongo una struttura fino a prima diversa, i confini di un pensiero che, per me, è importante non si adagi mai su se stesso.
certo ci sono stati libri meno interessanti, altri trascurabili e se c’è una cosa che devo ancora imparare a fare – e che nel 2021 metterò in pratica – è abbandonare ciò che non vale la pena. è un atto forte ma come tutte le azioni va allenata.
un altro sarà scrivere di più. no, non sono impazzito. non mi è venuta voglia di diventare ciò che non sono ma dovrò scrivere per allenarmi, perché mi servirà per lavoro e quindi devo semplicemente farlo di più rispetto ad ora.
ci sono alcune cose da mettere in moto.
terzo ed ultimo proposito, esserci di più e per una persona introversa è forse, tra tutte, l’azione più sovversiva e difficile da fare. si tratta di far compiere uno sforzo a una parte del cervello che non vorrebbe proprio cedere. ma stiamo vivendo tempi difficili e privarsi delle persone, del confronto e del sostegno ravvicinato è cosa dura da sopportare.
la pandemia con le sue restrizioni ci ha costretti ad una socialità diversa, piatta, a 2 dimensioni, facendoci usare solo 2 sensi e mezzo. non so voi ma sono troppo vecchio per ridefinire anche il concetto di comunità. il mondo corre veloce e sarà compito dei millenial inseguire nuove forme aggregative, nuovi modi di comunicare e interagirsi.
io ho solo voglia di tornare a bere una birra seduto accanto alle persone che vorrei avere vicino, senza immaginarla come un’azione pericolosa.
questo dovrà essere il buon proposito di tutti quanti, far tornare normale quello che è sempre stato normale.
blade runner un film – il film – un libro – i libri
questa è difficile da spiegare, ci provo.
blade runner di ridley scott è – senza dubbio – il mio film preferito. ho visto la final cut non so quante volte. perché? perché è un noir con sfumature hard boiled, perché ha dei fotogrammi fantastici, dei protagonisti con un carisma che oltrepassa lo schermo, una regia sopraffina (forse il picco di scott) e verte su un gioco di chiaro/scuri nei significati in grado di irretire chi guarda.
ma questo mettiamolo da parte.
ieri ho finito di leggere un libro di william burroughs dal titolo blade runner, a movie.
breve, carino, per certi versi anche attuale, dato che tratta della diffusione di un virus con relativa pandemia e rivolte ma diciamo non un libro imprescindibile .
“ah il libro da cui è tratto blade runner il film”
no amici, blade runner – il film – in realtà prende il soggetto, rielaborandolo in maniera sostanziosa, da un libro di philip k. dick dal titolo do androids dream of electric sheep?.
quindi tra il libro blade runner, a movie e blade runner il film non c’è nessun legame, non fosse che, blade runner, a movie è il riadattamento, sottoforma di sceneggiatura cinematografica, di un libro di alan e. nourse dal titolo thebladerunner (in italiano il medicorriere).
possiamo chiudere il cerchio? tra un attimo.
ridley scott ritenendo che do androids dream of electric sheep? non andasse bene da mettere sui cartelloni pubblicitari per due ragioni 1) era troppo lungo; 2) riprendeva uno dei concetti del libro non presenti nel film, chiese i diritti per utilizzare thebladerunner – quindi dal libro di nourse – come titolo del film.
p.s. il concetto di blade runner del film di scott non ha nulla a che vedere con il blade runner dei libri due libri. il primo è un cacciatore di androidi, i secondi sono dei medicorrieri, cioè dei corrieri che trafficano e smerciano materiale sanitario clandestino.
Battlestar Galactica
è stata un’intensa cavalcata ma in circa due mesi abbiamo recuperato e finito battlestar galactica (per comodità bsg). me ne avevano parlato bene tante persone e dai gusti diversi, quindi nonostante una certa riluttanza, viste le mie precedenti difficoltà con le serie sci-fi, ho iniziato il viaggio.
la sinossi è semplice ovvero il pianeta caprica, dove vivono gli umani di un anno non definito, viene raso al suolo, così come tutti gli altri pianeti abitati dalle colonie umane. a portare l’attacco sono i cylon una forma di intelligenza artificiale, dei robot, che nel tempo sono diventati esteriormente identici agli uomini e alle donne. le poche migliaia di superstiti vengono tratti in salvo su delle astronavi, tutte civili, ad eccezione della galactica una base stellare condotta da una forza militare a cui capo c’è bill adama. la decisione iniziale verterà sul resistere contrattaccando o resistere fuggendo, su quale decisione avrà più possibilità di mettere in salvo la razza umana.
non sono così esperto da sapere se battlestar sia stata seminale tra le serie sci-fi, quello che so è che stato un viaggio epico, di grande respiro, potente. con il passare degli episodi accade un fatto magico – che non è casuale ma è il frutto delle abilità degli scrittori – si prende familiarità con la galactica e si impara a conoscerne i corridoi, le camere, la sala di comando, il ponte di atterraggio e decollo dei viper (caccia spaziali) e dei raptor (ricognitori). diventa uno dei personaggi della serie, forse il più stabile e coerente, e cresce di importanza e spessore insieme agli altri. è impossibile non affezionarsene.
ora che ho metabolizzato l’ultimo episodio e i relativi adii, posso affermare con sicurezza che bsg è un ottimo prodotto, ha molti pregi e praticamente nessun vero difetto – fatta eccezione per un paio di episodi filler un po’ forzati. è scritta bene, tutte le linee dei personaggi più rilevanti vengono approfondite come è giusto che sia ma non solo. con il passare degli episodi e delle stagioni vengono affrontanti temi importanti, distribuiti bene in tutto l’arco narrativo.
oggi più che mai il rapporto uomo e intelligenza artificiale/robotica è di enorme attualità. si viene condotti con grande maestria dentro la questione, che è l’epicentro della narrazione. l’aspetto interessante è che l’intenzione della serie non è di restare neutrale anzi, bsg si schiera e ci dice che l’uomo deve trovare un modo per co-esistere con l’intelligenza artificiale. forse ci racconta qualcosa in più, ci mette uno specchio davanti e il riflesso che vediamo è un individuo che si sta cylonizzando – con una vita quotidiana sempre più intermediata dalla ia – anche se ancora in maniera passiva. bsg fa risuonare un allarme -fate che questa unione, di fatto inevitabile, sia proattiva. non consegnatevi alla tecnologia per inerzia, né combattetela, perché non sarete mai efficienti come l’ia di ultima generazione, trovate un compromesso, mettete in discussione la vostra identità.
il tema dell’estinzione della razza umana è molto più presente rispetto a 16 anni fa quando è stata scritta la serie. nel frattempo molti piccoli/medio/grandi collassi sono già avvenuti. 16 anni fa si veniva etichettati come cassandre portatrici di sventura nel far notare come lo stress imposto al pianeta stesse per superare il punto di non ritorno. oggi ci sono dati incontrovertibili che disegnano un futuro, non troppo remoto, in cui la terra comincerà a restringersi con i conseguenti traumi dovuti allo spostamento di milioni di persone dalle zone costiere. ci sono immagini devastanti su quello che sta accadendo in molte parti del mondo dall’amazzonia alla calotta antartica. bsg anticipa, o attualizza, il tema della ricerca di una nuova terra, dove la terra è una soluzione, è un insieme di condizioni necessarie per la sopravvivenza, per una nuova vita collettiva.
altro argomento molto interessante, sfortunatamente trattato in modo marginale, è la vita della nuova civiltà, cioè i sopravvissuti delle colonie, in un sistema economico all’improvviso azzerato dove il denaro non ha più il senso consolidato e conosciuto data l’inesistenza della produttività industriale e della domanda e dell’offerta, per lo meno secondo i nostri modelli. sarebbe stato interessante capire i risvolti sociali della sostituzione del concetto di lavoro retribuito con quello del lavoro necessario. forse sarebbe stato chiedere tanto, troppo ma secondo me nella writing room di bsg sarebbero riusciti a farci sapere qualcosa in più senza appesantire il tono della serie.
oltre questi temi importanti alle fondamenta di bsg ho trovato una grande abilità nel saper dare soddisfazione agli spettatori. la qualità della scrittura è oggettivamente alta ma c’è anche il gusto di non far soffrire in maniera eccessiva chi guarda, e guardando partecipa, se non per i plot twist necessari. c’è grande rispetto da entrambe le parti dello schermo.
salutiamo così una serie a cui ci siamo affezionati, la salutiamo come farebbe l’ammiraglio adama: so say we all.

p.s. una delle cose che continuerò a ricordare sarà il rumore dei raider (astronavi d’assalto cylon), un soffio di vento gelido nella notte.
No Future
è da molto tempo che mi pongo domande sulla politica. oggi, nel 2020, in italia continuo a non sentirmi rappresentato da nessuno fino in fondo e questo mi provoca un’inguaribile frustrazione. questa, a sua volta, mi forza ad interrogarmi sul disagio che provo. non penso di essere il solo. penso però di essere uno dei pochi (in relazione a tutta la popolazione, non in senso assoluto) a cercare delle risposte.
è complesso definirsi perché non esistendo una rappresentanza non riesco a identificarmi negli occhi degli altri o in una visione riconoscibile. è come se mancasse una comunità, uno spazio dove tra persone ci si ri-trova continuamente, per non perdersi nemmeno nelle incertezze.
eppure quando penso a cosa farei io se fossi nelle condizioni di decidere vedo delle mosse che dovrebbero essere scelte facili, per chi, se non vuole definirsi di sinistra, può quantomeno sistemarsi in un’area opposta rispetto al nazionalismo, al sovranismo e al liberismo spinto. eliminiamo parole come socialismo, comunismo e sinistra e mettiamone una nuova, diversa che liberi le prospettive future dal cappio ostile del passato remoto. neoprogressismo anzi social-not-work, che è una parola che non ha senso, serve solo da passpartout.
se io fossi il segretario nazionale del snw come primo punto vorrei che ci fosse uno statuto che indicasse un ipotetico punto di arrivo. qual è il progetto che ci muove? quale società vogliamo creare insieme? in che condizioni vorremmo vivere? che città vogliamo lasciare in eredità alle generazioni che verranno? bisogna rispondere a domande come queste per stabilire dei principi, per riconoscersi in dei valori. bisogna avere una visione per poterla perseguire.
non esiste risposta a quelle domande se non siamo in grado di usare l’immaginazione. non esisteranno risposte – vere – a quelle domande se non ritroveremo la capacità di disegnare dei futuri; se non impareremo a riconfigurare il presente declinandolo in alternative impensate, in possibilità. è più corretto dire che non esisteranno risposte diverse da quelle che permeano l’oggi e costituiscono il principio di realtà assoluta.
le città sono così. le modalità lavorative sono queste. la definizione del tempo personale è quella. la divisione delle risorse anche e il bilanciamento tra poteri pure.
così via scivolando dall’immagine globale fino a ritrovarci in ciò che stiamo facendo in questo istante, che è uguale a ciò che abbiamo fatto ieri e faremo domani. viviamo una sorta di tempo unico. i cambiamenti riguardano il singolo individuo e sono sempre più insignificanti nel quadro generale. ci siamo abituati a identificare i ragionamenti politici come interventi necessari per risolvere le emergenze, continue e sempre più disperate. è normale sia così perché non esistendo un piano organico che trasporti le persone verso un ecosistema nuovo, pensato e progettato non si può fare altro che mettere toppe nelle falle di una struttura sempre più vecchia e usurata. il problema è che quelle pezze cominciano ad essere inconsistenti. ci arrivano segnali sempre più chiari.
- stiamo consumando tutto ciò che è intorno a noi. stiamo fagocitando le riserve della natura e nel caso qualcuno non se ne fosse accorto il globo ha dei limiti mentre la produzione in diretta h24, con consegne immediate, ha bisogno di espandersi senza sosta. non può restare uguale al giorno prima perché altrimenti non sosterebbe i suoi stessi costi. deve conquistare un altro pezzetto di territorio, instillarsi in altri luoghi, arrivare più in là, vendersi ancora e nel farlo consuma di più. consuma cose e persone. spazi e tempo.
- gli squilibri economici sono sempre più assurdi. i numeri sono talmente grandi da aver perso comprensibilità e se sono sono troppo lontani da noi non riusciamo a percepirli, né come giusti né come sbagliati, sono semplicemente fuori dalla nostra portata e quindi dai ragionamenti. povertà e ricchezza sono dei concetti di massima su cui abbiamo smesso di ragionare anestetizzati da una realtà politica che ha spostato di lato temi che dovrebbero essere il perno di ogni discorso.
- le disparità tra persone restano enormi. le condizioni di accesso alla verticalità delle strutture lavorative e gli stipendi sono ancora differenti tra uomo e donna e lo sono in maniera esplicita, non c’è alcun tentativo di dissimulare la realtà di fatti. perché? perché questo sistema sa conservarsi in maniera autonoma e concede piccoli cambiamenti per non cambiare mai davvero. se chiedete a chicchessia perché a parità di funzione un uomo guadagni più di una donna, quella persona non potrà che rispondere che si tratti di un’ingiustizia, che non può e non dovrebbe essere così, eppure passano gli anni e tutto si conserva in maniera più o meno sempre simile. a meno di non credere alla genetica come fattore in grado di influenzare le capacità di ragionamento e le competenze future, non esiste alcun motivo per cui i posti dove risiede il potere siano in larga maggioranza di proprietà degli uomini. non esiste un motivo logico se non una continua opera di preservazione del diritto all’ereditarietà delle opportunità. come se si trattasse di qualcosa scritto nel dna della storia, come se fosse un elemento acquisito e inalienabile e non una scelta che si perpetua.
- esiste un’avversità istituzionalizzata al libero incontro tra persone provenienti da storie, nazioni e passati diversi. oggi è lecito trovarsi solo se vengono rispettate le consegne, solo se si da per assodata la tutela della natura territoriale, solo se l’incontro soddisfa i requisiti imposti. ordine, limiti, definizioni sono strumenti per mettere in sicurezza la collisione tra culture diverse. il rischio che si aprano nuove prospettive viene minimizzato, ridotto e tradotto in lingua patria. vengono profusi sforzi per far sentire in colpa chi cerca di conoscere l’altro altro, chi si trova oltre i confini della cultura ammessa e permessa. il disordine mette paura, non tanto perché potrebbe generare crimini ma perché potrebbe far nascere pensieri confusi, alternativi, quelli sì pericolosi per chi scommette ogni giorno sulla stabilità, sulla noia, sull’ovvio.
potrei continuare perché esistono molti elementi malfunzionanti. siamo dentro una macchina che si muove per inerzia dove in pochi si interrogano sulle spie accese mentre i più continuano a stare seduti come passeggeri distratti, persi nei problemi. siamo tanto schiacciati dalle pressioni indotte del giorno dopo giorno che non è più un’azione spontanea fermarsi a mettere in discussione le opzioni. anzi tendiamo a sentirci in colpa quando trasferiamo le responsabilità verso una mancanza. siamo spesso a disagio e insofferenti ma il mirino è puntato sulla prossimità, su ciò che vediamo e possiamo toccare, sul personaggio del momento, sulla replica di turno.
ecco perché diventa essenziale rispondere a domande semplici come quelle scritte più su. bisogna condividere quegli interrogativi e cercare insieme delle risposte partendo dal sanare tutto quello che è sicuramente sbagliato. aggiustare ma in un contesto diverso perché è illogico correggere quegli errori dentro un sistema destinato a collassare. rischiano di essere energie preziose sprecate. dovremmo trovare la forza di concederci all’immaginazione, all’atto sovversivo di vederci in città diverse, immersi in reti di relazioni ancora inesistenti, avendo a che fare con concetti di tempo non ancora testati. non ha senso aspettarsi che dall’alto cali un nuovo mondo, non può, e non deve, esserci una singola persona in grado di trasferirci altrove per mezzo di una miracolosa illuminazione. il nostro ateismo dovrebbe essere ancor prima politico che religioso. non esiste e non esisterà mai un solo uomo-dio capace di tradurre questo presente in dei futuri diversi. è una responsabilità collettiva, un impegno diffuso. il primo sforzo dovrebbe essere quello di trovare i nuovi luoghi e i nuovi mezzi dove ricominciare a dialogare.
è fondamentale partire da un visione sia per vedere chiaramente ciò che si vuole distruggere ma soprattutto per anelare a tutto quello che si deve costruire. la furia rottamatrice non ha il respiro lungo. non ha chiaro cosa debba venire dopo. la fase dell’abbattimento non produce alcun cambiamento ma solo una soddisfazione rabbiosa e fugace e la sostituzione del colpevole.
autunni
vento d’autunno
se solo tu sapessi quanta fatica
soffieresti più lento
soffieresti meno triste
soffieresti meno simple minds extended version
soffieresti più pizza margherita
1
la politica ai tempi del covid è la stessa identica di prima. viviamo le condizioni della pandemia imprecando alle (pseudo)soluzioni individuate dal governo. ci dividiamo con rabbia su come ci si debba comportare ma nessuno si gira a guardare l’elefante nella stanza. nessuno ha il coraggio di dire la banale verità: la struttura su cui poggia la società è dannatamente fragile, talmente esile da non riuscire a supportare il peso degli eventi. possiamo continuare a fare finta di nulla, pensare che esistano delle idee strabilianti che i vari governi d’europa non vogliano prendere per ragioni incomprensibili ma non è così. la politica è schiacciata – totalmente – sulle logiche dell’economia. ciò che siamo oggi è il frutto di decenni di neoliberismo sfrenato. tanto dominante da far scivolare la figura dell’essere umano dietro all’icona del mercato. siamo talmente finiti dietro rispetto all’importanza della produzione di ricchezza che ci siamo dimenticati delle priorità. anzi non esiste più nessun dubbio su cosa debba essere salvaguardato prima, perché tutto si regge su quel flusso – assolutamente squilibrato – di denaro. non sono più nemmeno i soldi in quanto tali ad essere importanti quanto il principio ovvero l’essere umano è, e deve restare, secondo.
per accendere una riflessione insieme dovremmo eliminare alcune parole dal dialogo. parole che aprono in automatico delle categorizzazioni mentali altamente nocive al pensiero libero. mettiamoci seduti intorno a un tavolo e iniziamo a trovare dei sinonimi, o dei nuovi termini, al posto di: capitale; mercato; neo liberismo; compagni; comunismo; socialdemocrazia; varie ed eventuali.
trovo incredibile come nel 2020 a fronte degli incredibili progressi della tecnologia, dei nuovi modelli sociali diffusi, delle enormi ricchezze in giro non sia possibile immaginare qualcosa di diverso; sognare un sistema liquido, in cui il giusto compromesso tra intelligenza artificiale e umanità, consenta alle persone di vivere una vita non paralizzata dalle necessità della macchina produttiva. trovo sconfortante che ancora si guardi al passato per contrapporsi al presente – come se la nostra immaginazione fosse stata spenta, come se la spinta utopica fosse rimasta strozzata. esistono decine di futuri possibili ma non riusciamo a sognarne nemmeno uno. siamo ancorati a visioni vecchie, polarizzati tra presente e passato, depressi dai doveri incessanti, troppo stanchi anche per metterci in discussione.
libero pensiero in libero lavoro
ci scherzo, gioco quando scrivo su fb ma sono giorni intensi. per la prima volta mi trovo davanti ad un bivio lavorativo. dentro o fuori. per la prima volta sono vicino a chiudere una porta per aprire chissà cosa. non è semplice dipanare certe matasse di pensieri. scegliere. una via va verso il conosciuto ma anche verso una routine consumata, con dei punti fermi ma anche con un impegno economico importante, imbrigliante. una strada che sembra un’immagine sbiadita, come se fosse il passato. l’altra via può portare dovunque, è una scommessa senza paracadute, un’opportunità che non prevede materassi, qualcuno ci vedrebbe un antipasto di libertà. una foto ancora da scattare, senza un soggetto definito. potrei continuare nello stesso settore oppure no. come si fa a decidere? come si può non farlo? credo di potermi comunque definire fortunato nella sfortuna. non so bene perché. credo nell’onestà. credo fermamente nel lavorare bene rispettandosi ma in maniera liquida, i ruoli esistono ma, per me, il cardine è la fiducia necessaria per comprendersi. non mi piacciono gli ambienti ingessati, gli obiettivi imposti e non scelti. non vedo futuro senza passione ma solo dovere. la specializzazione è importante, ci deve essere spazio per le competenze e per il merito. c’è spazio. credo nel lavoro collettivo, nel fattor comune. non ho mai amato i bilanci, quelli economici, ma ho imparato a leggerne i limiti. queste sono alcune delle cose che ho imparato in questa vita lavorativa e che porterò con me qualsiasi direzione prenderò di quel bivio.